Il racconto di un archeologo ci riporta al 30 gennaio di oltre duemila anni fa, per svelare il rito di fondazione romano e una concezione originale della città che lascia traccia ancora oggi.
Nel mondo antico, l’idea di città risponde a una concezione funzionale quanto ideale. Deve essere inaugurata dai sacerdoti con la presa degli auspici; orientata secondo il paesaggio e la natura; separata dalla campagna per mezzo di mura e porte. La città deve essere rappresentazione del potere imperiale.
Questo vale anche per Augusta Taurinorum, avanposto lungo la via per le Gallie.
Con ogni probabilità la colonia è voluta da Augusto per congedare i veterani che lo avevano accompagnato nelle Guerre alpine e celebrare la nuova era di pace con un progetto scenografico, improntato fortemente al legame con le montagne circostanti.
Il racconto dell’archeologo Sandro Caranzano ci riporta indietro nel tempo agli atti della celebrazione della festa della Pace in Campo Marzio (il 30 gennaio del 9 a.C.) celebrata alla presenza di Augusto e della famiglia imperiale. Ma anche agli attimi nei quali, secondo il rito etrusco-italico, nella pianura di Torino i sacerdoti e i magistrati inviati da Roma fondano la città al sorgere del Sole.
Da allora il disegno originario di Augusta Taurinorum si trasmette di epoca in epoca, dal barocco al tessuto contemporaneo: una caratteristica densa di significati simbolici, da conoscere e preservare.